PROLOGO

Siamo stati adulati con il predicato di “razionali”, con cui gli adulatori vogliono mantenere la domatura di questa specie bipede parlante, e ingannarci a riputarci come “superiori” alle altre specie animali, dove gli esseri veramente avvantaggianti sono quelli volatili (esseri alati che possono volare da sé). Forse è soltanto per boria insoffribile che predicano la “superiorità” umana, con l’inconsiderazione che nostra facoltà verbale è molto simile à quella dei pappagalli. Verificate questa mia sentenza con l’osservare colui che recita l’inno nazionale: non dubitare che non gli manca che recitare virgole e punti, e che sa niente o poco di quello che riproduce, soltanto conscio che esso è qualcosa per onorare. Ecco lo psittacismo o pappagalleria, di cui voi potete accorgervi, o che voi potete riconoscere in tutti: in coloro che cantano le canzoni di moda, nel ripetitori di preghiere e di formule salutatorie, nel professore di scuola mai innovatore e sempre convenzionale, nei nostri genitori col loro moraleggiare, etc. Lo psittacismo può essere tanto scritto come orale. Lo psittacismo orale è quasi inevitabile, perché in un dialogo gli interlocutori potrebbero appena tollerarsi se ognuno di loro tardasse in dire ciò che ella/egli dovrebbe considerare prima di emettere. Colui che scrive, invece, può considerare così lungamente ciò che sta per scrivere o che ha scritto, che non sarebbe un caso raro se un’ora o più, o una giornata si contasse, senza rammarico, all’atto di scrivere una sola riga ed corregerla. Disgraziatamente, coloro che pensano prima di scrivere sono troppo pochi. Troviamo nella letteratura quasi tanto psittacismo come nel blabla quotidiano, anche in quelle opere di autori famosi che gli psittacisti stessi ci hanno imposte come “classiche”, e in quelle denominate “scientifiche”.


Gli psittacisti sono persone che non possono valersi dell’idioma come si valgono dei simboli numerici; cioè, se essi possono significare diversamente 50, per esempio, con una addizione, 40+10, 20+30, 48+2, o con una sottrazione, 70-20, 55-5, 250-200, 90-40, o con una moltiplicazione, 25x2, 5x10, 10x5, sono impotenti, invece, a variare locuzioni come “legge di gravità”, “ironia della vita”, “dare sapore a qualcosa”, “dare un’opera alla stampa”, “con l’andare del tempo”, e altri assurdi che, a citare tutti, io diventerei insopportabilmente prolisso. E se mi riferisco a queste locuzioni come assurdi, è perché, a decostruirle, voi trovereste che sono tali: in “legge di gravità”, il nome di “legge” è tanto superfluo quanto improprio. Basta usare del nome solo di “gravità” per significare lo stesso. Una persona non abituata allo psittacismo (forse un essere d’un altro pianeta), nello udire la locuzione “legge di gravità” per la prima volta, potrebbe attribuire il fenomeno della gravità ai legislatori, perché sono questi che statuiscono le leggi. Lo psittacista, però, non disputa mai la correttezza o la incorrettezza della locuzione menzionata: gli basta ripeterla per significare qualcosa su cui sa poco, molto o niente più che la sua denominazione abusiva. Io dispero di trovare un idioma i cui psittacisti non abbiano adottato la ridicola “legge di gravità” tradotta da un altro idioma: lo psittacismo sembra essere così generale come la sconsideratezza della riproduzione umana. A proposito di quest’ultimo, “fare l’amore” non è meno grave di “legge di gravità”, perché, oltre ad essere psittacista, è eufemistico e tendensioso. Come voi troverete detto più avanti in questo prologo, un idioma è un accidente che è stato adattato come codice da diversi ceti, tra i quali, i bigotti. Quello che si desume della frase “fare l’amore” (e tutta la sua coniugazione) è che i bigotti vollero significare con essa che un coito non è lecito se non tra due persone eterosessuali: ecco la sua tendenziosità. Per evitare l’eufemismo di “fare l’amore”, necessita che un nuovo verbo sia derivato del nome di coito, come si è fatto nell’idioma spagnolo (coitar) e francese (coïter), perché “scopare” e “fottere” sono verbi che falliscono nel significare perfettamente ciò che si vuole.


Per colpa degli psittacisti, un idioma tende a essere degenerativo e folcloristico, perché, invece di essere esercitato analiticamente, è impiegato come un sacco contenente articoli inflessibili dove le locuzione invariabili (fare l’amore, legge di gravità, etc.) si cumulano con parole obsolete e neologismi. L’obsolescenza delle parole è la conseguenza che lo psittacista impiega soltanto quelle che stanno di moda (quelle della radio, della televisione, etc.), cioè, quelle parole soprammesse nel sacco. I neologismi mi sono grati se con questi si suppliscono una mancanza nominale (orgasmare, coitale, inculare)


La lessicografia spagnola, italiana, francesa ed inglesa è stata da secoli il mestiere di compilare dei dizionari ripetendo tutto quello che gli altri scrissero, con tutta la tendenziosità, la parzialità, il servilismo e l’ipocrisia delle persone contemporanee con i regimi monarchici o con il regime degli “inquisitori”. Quella dell’idioma spagnolo è la più svantaggiata delle quattro lessicografie, per l’aborrita subordinazione dei lessicografi all’accademia, una società di bigotti a cura di conservare la loro ridicola “moralità”. Comparate tutti i dizionari dell’idioma spagnolo che voi possiate trovare denominati differentemente: niente li differenzia eccetto il loro titolo. La lessicografia inglesa è la più avvantaggiata per una certa indipendenza dei lessicografi rispetto alle accademie. Comparate i due più comprensivi dizionari dell’idioma inglese (OED e Merriam-Webster): non solo i loro titoli differenziano l’uno dall’altro, ma anche il loro contenuto. Poco o niente però si è fatto per laicizzare questa lessicografia inglesa: voi potete trovare sull’OED tanta bigotteria quanta ne potete trovare sui dizionari dell’idioma spagnolo.


Suppongo che la lessicografia d’altri idiomi parlati e scritti da gente più bigotta o più oppressa della nostra è in uno stato peggiore.


Non ho trovato mai un dizionario d’idioma che sia degno dell’attributo di “obiettivo”, né dell’italiano, né del francese, né dell’inglese, né dello spagnolo. È questo fatto, in più del mio interesse per certa letteratura, che mi necessita a comporre simultaneamente quatro vocabolari in questi quatro idiomi. Il mio proposito non è quello di buscarmi dei soldi con queste opere -ciò che voi state per leggere voi avete trovato gratuitamente (almeno spero che sia così) nella rete di Internet- né sto per supplicare nessuno di stamparle. Mi basterà per ricompensa che qualcuno di voi vi accorgiate di esaminare le parole che avete ripetute da bambino/na o che avete recentemente conosciute, perché una parte del vostro vocabolario può stare agendo come un virus o come un mezzo di mantenimento d’un regime o di certe bigotterie; ma una maggiore soddisfazione io potrei derivare dal evento che qualcuno di voi mi emulaste con l’inizio d’una opera lessicografica come questa, cominciata senza lo scopo mercenario né servile dei dizionari altrui.


Se la lessicografia è, per le persone servili e gli affaristi, il mestiere di trascrivere ciò che gli altri scrissero, essa ha da essere per noi, i contestatori, l’arte di comporre un lessico, non per una trascrizione dei lessici altrui, ma per un metodo somigliante a quello dello scrittore/trice: l’impiego del nostro pensiero.


Lessicografo e lessicografa sono quelli che si intendono di lessicografia. Dagli inizi della stampa, essi erano compilatori di dizionari che dedicavano servilmente a un re (da chi avevano ad ottenere licenzia per stampare qualsiasi libro). Modernamente, essi continuano a compilare dei dizionari, più per propagare una opera tendenziosa, conformemente al sistema ipocrita, che per pubblicare un’opera oggettiva. Fino ad ora, lessicografia era una parola così impopolare come gli affari che la concernano. A chi di voi è occorso mai di studiarla? Conoscete voi una università, una scuola, un dottore, un professore che vi insegni i rudimenti di lessicografia? L’inesistenza d’un professorato universitario e d’una scolaresca in questo settore letterario è una prova indisputabile dello sventaggio in cui lo troviamo. Donne e uomini si sentono necessitati a ottenere una laurea qualsiasi delle offerte nel mercato di “voi avete ad essere un professionale”. Si sottomettono all’addottrinamento di pochi anni e poi, quando sono laureati, diventano fanfaroni della loro professionalizzazione. Ci sono medici, chimici, elettricisti, architetti, etc. (questo eccetera comprende le forme feminnili rispettive); ma lessicrografi... ce ne sono troppo pochi, e quelli non sono oggettivi.


Dunque, perchè non fare del lessicografo durante l’ozio del lavoro quotidiano e cercare di dignificare un arte che è stato abusato sempre?


Avendo, come abbiamo, una facilità di comporre e un’altra di pubblicare nel ciberspazio, ci resta soltanto istituire qualche principi di lessicografia oggettiva che propongo in questo prologo, per cominciare un’opera esenta della tendenziosità di quelli lessicografi che sembrano di lavorare sotto una direttiva vaticana.


Dizionario o vocabolario? Comprensività di vocaboli o selettività? Ecco alcuni dei problemi collaterali a quello d’istituire una opera lessicografica differente dalle altre esistenti. La differenza proposta non è nominale, benchè quella sia già un fatto, ma una derivata dalla mia indipendenza dalle maniere “catechistiche”, sempre aborrite, in cui i lessicografi incorrono svergognatamente. Infatti, i loro dizionari sembrano dei complementi di catechesi, invece d’opere oggettive purificate dai contaminatori semantici esistenti dagli inizi della lingua, i quali non sono esclusivi dell’italiano.


Sotto la denominazione di contaminatori semantici voglio che siano inclusi parole, frasi e accezioni provenienti dalle persone bigotte, pudibonde, moraliste e ipocrite, e ripetute noncurantemente per gli altri. L’uso del vovabolo “osceno” in constesti sessuali è un adattamento semantico forzato per impedire la libertà di espressione sessuale, un muro invisibile che voi potete abbattere se voi vi astenete dal usarlo. Se c’è qualcosa di “osceno”, di “dispiacente” in questo pianeta, sono i fatti crudeli, e quelli distano molto dagli erotici. Quante di quelle persone che stigmatizzano l’arte della pornografia con il vocabolo “osceno” godono a guardare segretamente dei film porno? Odioso come l’ipocrisia è il soggettivismo evidenziato nei dizionari. Cosa è “pornografia”? la rappresentazione di immagini “oscene”, come i bigotti ripeterono in Zanichelli ed in Mauro, o la rippresentazione di nudi, come dovrebbe essere oggettivamente predicato?


Questo vizio del soggettivismo e della tendenziosità non è peculiare dei dizionari dell’idioma italiano: il francese, lo spagnolo e l’inglese sono stati pervertiti con esso dagli inizi della lessicografia. Il dizionario dell’idioma inglese di Webster di 1828 contiene questa imperdonabile e ridicola “moralizzazione” di “self-pollution” (autopolluzione) per cui si vilipende il lemma “masturbazione”. Ancora più ridicola era l’opinione di Littré sullo stesso, leggibile sotto l’omonimo lemma del suo dizionario di lingua francesa datato in 1873: “genre de libertinage solitaire, nuisible à la santé” (libertinaggio solitario nocivo). Modernamente, troviamo una “definizione” quasi oggettivata su “masturbazione” nei dizionari italiani, francesi, inglesi e spagnoli, ma non esenta d’una malignità manifesta. Per esemplificare questo, trascriverò due delle citazioni impiegate dai lessicografi del dizionario inglese Oxford e del francese TLF per malignare sul lemma masturbazione: “The masturbation self-enclosure produces idiots - D. H. Lawrence”; “les deux filles devinrent des putains (...) et (...) le garçonnet mourut d'épuisement par la masturbation -Goncourt, Journal”. È evidente che con la citazione d’Oxford, i bigotti pretendono indurre i lettori a credere che il piacere masturbatorio causa idiozia, mentre che con l’altra, del dizionario TLF, pretendono che esso indebolisce più di ogni altra cosa. Quanti di questi ipocriti malignatori del vocabolo “masturbazione” sono masturbatori e masturbatrici di altre persone quando le fottono? O sono così inetti nell’arte erotico, che non hanno mai stimolato manualmente un clitoride o un pene?


Nello stesso lemma di “masturbazione”, troviamo un altro esempio di tendenziosità commesso contro l’espressione sessuale: quando i bigotti si riferiscono al pene ed alla vulva con la parola “genitali”, essi vogliono che gli altri pensino che questa e quello sono organi soltanto per la generazione, non per un godimento anticoncettivo. Questa denominazione di “genitali” sará impiegata soltanto in contesti fatti a proposito della gravidanza; ma, nei temi erotici, è preferibile usare i nomi di “vulva” e “pene”.


Quando noi ci riferiremo al coito anale, ci varremo della parola “inculata”, contro l’intento dei bigotti di abolire il suo uso classificandola come “volgare”. “Sodomia” è la parola che essi vogliono imporre come sinonimo di “coito anale”; ma abbiamo a cautelarci da questa, perché, come altri vocaboli insidiosi (onanismo, osceno, etc.), ha una connotazione “moraleggiante”.


Perchè una disapprovazione collettiva contro tale soggettivismo non ci capita mai? Credete che i dizionari sono opere scientifiche, il cui contenuto è indiscutibile? Se questo fosse il vostro caso, allora discredetevene. Bisogna fare molto per promuovere la lessicografia dall suo stato “medievale” ad un’emulazione scientifica. Anche se profittassimo d’una cessazione del soggettivismo e del pregiudizio dei bigotti, l’arte della lessicografia resterà sempre defettibile per l’impossibilità d’una esattezza nei dati trovati. Le congetture sugli etimi costituiscono problemi peggiori di quelli che si propongono per l’origine dello preistorico.


Qualche sforzo fatto da noi per contrastare il pregiudizio ed il bigottismo dei lessicografi sarà meglio di niente. Ognuno di noi è abile a esaminare il suo vocabolario, per purificarlo dai contaminatori che ho menzionato. Quest’esercizio sarà una riprogrammazione del nostro ragionare esente dai virus che si sono tradizionalmente propagati per numerosi agenti, tra gli altri, i genocidi che si facevano denominare terribilmente “inquisizione”.


Si può dire che la lessicografia è stata un mezzo di programmazione dei sudditi di uno stato o regime. Voi non troverete assurda questa affermazione se considerate ciò che ho detto sull’inesistenza d’un professorato universitario e d’una scolaresca relativi all’arte lessicografico, e sulle maniere “catechistiche” dei dizionari. È tanto difficile ipotizzare che uno Stato o regime possa promuovere una lessicografia differente da quella che gli conviene, quanto sperare che uno Stato diventasse indipendente dalla “chiesa”. Il primo bisogna della “moralizzazione” di questa per conservarsi, come bisogna degli agenti di polizia e della milizia. Immaginate ciò che avverrebbe se i sudditi di uno Stato godessero il loro erotismo così romanticamente come fa la gente dell’arte porno: la generazione umana si interromperebbe o si rallenterebbe; quindi, non ci sarebbe nuovi militari, né nuovi tributi né nuova gente povera che arricchisca una minoranza. Ecco il motivo per cui i lessicografi “debbono” malignare contro l’arte porno, contro i godimenti masturbatori, contro gli rapporti omosessuali; cioè, contro tutto che non è generazione umana. Ecco la causa per cui non c’è una critica lessicografiaca e per cui i “catechiste”, invece delle persone imparziali, hanno compilato dei dizionari. Ecco perché i bigotti ripetono ancora che “pornografia” è il osceno, quando tutti sappiamo che è il romantico, il bello, il sexy, ed il contrario di ciò che atterrisce.


Siamo stati programatti ad agire secondo la convenienza statale. Questa programmazione ci è stata insinuata principalmente per la “pappagalleria” religiosa, e poi per quella degli storici e dei lessicografi. Ci può essere tanta tendenziosità in una composizione storica quanta in una lessicografica. Voi trovate nei libri di storia, invece del nome di autonomista, quello di liberatore ripetuto dappertutto, il che soggettiva una storia fino ad assomigliarla ad un’opinione prolissa e disputabile, come l’eroicizzare ogni compaesano che militò in una guerra o in una battaglia. Perché storici e lessicografi eroicizzano sempre questa gente?


Scegliete un vocabolo, qualche vocabolo, ma preferibilmente uno la cui etimologia sia indisputabile, cioè, uno di quelli derivati dal latino o greco e che possono essere identificati con altri dello spagnolo, il francese o l’inglese. Affare, in italiano, affaire, in francese, ed affair, in inglese, hanno un origine comune come disputare, in italiano, disputar, in spagnolo, disputer, in francese, ed dispute, in inglese. Ecco la identità etimologica, la quale possiamo impiegare a maniera di principio scientifico. Stabiliti gli etimi comune di disputare, disputer, dispute e disputar, possiamo ancora avvantaggiarci nello studio oggettivo dell’idioma quando ne stabiliamo la identità semantica: cioè, trovarete che “disputare di un tema”, nella sua accezione di “discutere argomentativamente”, può essere tradotto in francese con “disputer de”; in spagnolo, “disputar de”, ed in inglese, “dispute on”, perché, essendo etimologicamente identici, lo sono anche nelle sue accezioni. Identificare di questa manera l’italiano con altre idiomi facilita le traduzioni, fa ordinare le accezioni e ci fa sperare in un futuro “esperanto”. Questa identità è stata trascurata dai lessicografi faciloni che compendiano dei dizionari a maniera d’esercizio memorativo: i suoi lemmi, i suoi definizioni di maniera, i suoi esempi, non sono che il risultato della sua memoria, senza avere avuto cura di esaminare altre opere lessicografiche di almeno un altro idioma correlativo dell’italiano. Voi non avete a imparare un altro idioma se non volete o non potete: fate che qualcuno ti legga.


Quando un vocabolo italiano ha una identità etimologica con il vocabolo correlativo d’un altro idioma, voi trovate il più delle volte che c’è anche una identità semantica in almeno una delle sue accezioni quando ce n’è più d’una.


Ci sono dei lessicografi capricciosi che ordinano le accezioni d’un vocabolo in qualunque maniera. Questa pratica è contraria alla nostra proposta d’identificare i nostri idiomi e di oggettivare la lessicografia.